Brano tratto dall’Omelia di Papa Giovanni Paolo II del 22 giugno 1980 per la beatificazione di Kateri Tekakwitha
Immagine tratta dal sito Immaculata Art
Il “Giglio dei Mohawks” (1656-1680)
Patrona dell’Ecologia
– Kateri Tekakwitha nasce nel 1656.
– Nel 1676 riceve il Battesimo.
– Muore all’età di 24 anni nel 1680.
– Viene dichiarata venerabile nel 1943 da papa Pio XII.
– Viene beatificata nel 1980 da Giovanni Paolo II.
– Le sue reliquie sono conservate presso la Missione San Francesco Saverio di Kahnawake, vicino a Montreal.
Dolce, fragile ma forte figura di giovane donna che morì a soli ventiquattro anni di età: Kateri Tekakwitha, il “giglio dei Mohawks”, la vergine irochese che nel diciassettesimo secolo nel nord America fu la prima a rinnovare le meraviglie di santità di santa Scolastica, santa Gertrude, santa Caterina da Siena, santa Angela Merici e santa Rosa da Lima, precedendo lungo il sentiero dell’amore, la sua grande sorella spirituale, Teresa del Bambino Gesù.
Passò la sua breve vita parte in quello che ora è lo Stato di New York e parte in Canada. Era una persona gentile, dolce e forte lavoratrice, che passava il suo tempo lavorando, pregando e meditando. Ricevette il battesimo all’età di vent’anni. Anche mentre seguiva la sua tribù nella stagione della caccia, continuava le sue devozioni, davanti a una rozza croce scolpita da lei stessa nella foresta. Quando la sua famiglia la invitò a sposarsi, lei replicò con grande serenità e calma di avere Gesù come suo unico sposo. Questa decisione, considerando le condizioni sociali della donna nelle tribù indiane, espose Kateri al rischio di vivere come una paria e in povertà. Fu un audace, insolito e profetico gesto: il 25 marzo 1679, all’età di ventitré anni, con il consenso del suo direttore spirituale, Kateri pronunciò il voto di perpetua verginità; per quanto noi sappiamo fu la prima volta che questo avvenne tra gli indiani del nord America.
L’ultimo mese della sua vita è una sempre più chiara manifestazione della sua solida fede, schietta umiltà, calma rassegnazione e gioia raggiante, anche in mezzo alle più terribili sofferenze. Le sue ultime parole, semplici e sublimi, mormorate al momento della morte, ricapitolano, come un nobile inno, una vita di purissima carità: “Gesù, io ti amo”.