Giovanni Falcone

Giovanni Falcone

Giovanni Falcone

Palermo, 20 maggio 1939 – Palermo, 23 maggio 1992

Siciliano doc, nato a Palermo nel 1939, arriva alla Magistratura nel 1964, prima di stanza a Lentini e poi a Trapani, appassionandosi sempre più di diritto penale. Nella seconda metà degli anni ‘70 ritorna a Palermo all’Ufficio Istruzione. Richiesto con Paolo Borsellino da Rocco Chinnici a collaborare per un’indagine di mafia, nell’80 inizia ad indagare su un pregiudicato coinvolto in reati di droga e di spostamenti di soldi sospetti, che coinvolge anche esponenti della malavita negli Stati Uniti della famiglia Gambino; si recherà a New York collaborando, e diventandone amico, con Rudolph Giuliani, al tempo Procuratore Federale (precursore della “tolleranza zero” da sindaco, era già chiamato “il procuratore di ferro”).

È il periodo in Sicilia della presa di potere del clan dei Corleonesi e dell’assasinio, Giovanni Falcone e Paolo Borsellinotra i tanti magistrati ed esponenti della legge, di Carlo Alberto Dalla Chiesa e poi di Rocco Chinnici. Sono gli anni degli elenchi dei morti ammazzati come fosse un appello di classe. Chinnici viene sostituito da Antonino Caponnetto, che al suo arrivo crea il “pool” composto da Falcone, Borsellino, Di Lello, Guarnotta e Ayala per occuparsi e per istruire al meglio i processi di mafia con una gestione, come già sperimentato contro il terrorismo, di condivisione di tutte le informazioni tra i componenti la squadra, per dare una visione migliore e facilitare l’interazione e il confronto delle varie inchieste. Grazie a questa nuova concezione d’indagine e anche all’arresto di Tommaso Buscetta, che iniziò a collaborare con i magistrati, fu istituito il primo grande processo contro la mafia: il Maxiprocesso. Grazie alle informazioni rilasciate da Don Masino (così era chiamato Buscetta) si ebbe una visione della struttura del crimine organizzato e di com’erano gestiti i maggiori traffici illeciti e, grazie alle indagini del pool, nel 1987 si ebbero 360 condanne e Cosa Nostra ne fu fortemente colpita.

Ci fu così la prima firma alla condanna a morte di Giovanni Falcone, per mano del capo dei capi, Totò Riina. Nonostante questo successo, nonostante le difficoltà incontrate causate anche dall’interno dello stato e della magistratura (si è sempre parlato di un corvo), Falcone continuò a lavorare ai reati collegati con la mafia anche dopo lo smantellamento del pool a causa della sostituzione di Caponnetto per pensionamento. E continuò a combattere il crimine nonostante accuse diffamatorie contro di lui, nonostante le preferenze per i giochi politici di altri suoi colleghi, nonostante i trasferimenti e anche il fallito attentato con l’esplosivo nella sua casa al mare. Esplosivo che tre anni dopo (23 maggio 1992) fu posto in un tunnel scavato sotto l’autostrada tra l’aeroporto di Punta Raisi (che ora porta il nome di Falcone-Borsellino) e Palermo, per compiere la strage di Capaci. Cinquecento chili di tritolo che hanno aperto una voragine enorme nell’autostrada ammazzando oltre al Giudice e alla moglie, anche tre uomini della scorta.

Così è “morto un servitore dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere” come dichiarò l’anno prima Giovanni Falcone nel suo libro Cose di Cosa Nostra. Così sparì un simbolo della lotta alla Mafia, ma almeno questo grande dolore creò forte impressione nell’opinione pubblica che reagì al crimine dei “picciotti” con la solidarietà e con l’opposizione come mai era stato. Si arrivò anche a creare nuove figure e nuovi uomini impegnati in questa lotta a Cosa Nostra, portando l’anno successivo all’arresto niente di meno che di Riina e di molti altri malviventi.

Fonte: www.amando.it