Ora Santa nella notte della Passione

Orto degli Ulivi

Orto degli Ulivi

Ora santa: un’ora di preghiera con Gesù nel Getsemani

La devozione dell’Ora Santa ha la sua origine nella preghiera che Gesù fece nell’Orto degli Ulivi (o Getsemani), la vigilia della sua morte, nella notte tra il giovedì e il venerdì santo.

Questa forma di preghiera è stata chiesta da Gesù stesso alla sua diletta discepola Margherita Maria Alacoque. La santa riferisce la rivelazione, nella sua autobiografia, con le seguenti parole:

«Stavo un giorno in orazione e considerando attentamente l’unico oggetto dell’amor mio nell’Orto degli Ulivi, immersa in una profonda tristezza; e sentendomi accesa dal desiderio di aver parte alle sue angosce, Gesù mi disse amorevolmente: “E’ qui che internamente ho sofferto più che in tutto il resto della mia passione, vedendomi nell’abbandono del cielo e della terra, carico dei peccati di tutti gli uomini…

“Tutte le notti dal giovedì al venerdì ti farò partecipe alla stessa tristezza mortale che volli provare nell’Orto degli Ulivi, e questa tristezza ti condurrà, senza che tu lo possa comprendere, a una specie di agonia più dura da sopportare della morte.

“E per unirti a me, nell’umile preghiera che presenterai al Padre mio in mezzo a tutte quelle angosce, tu ti alzerai fra le undici e mezzanotte, per prosternarti, per un’ora, con me, con la faccia a terra, sia per calmare la collera divina, chiedendo misericordia per i peccatori, sia per addolcire, in certo modo, l’amarezza che sentivo per l’abbandono dei miei apostoli, che mi obbligò a rimproverarli di non aver potuto vegliare un’ora con me. Durante quest’ora tu farai quello che ti insegnerò”».

La sera o la notte del Giovedì santo è il momento più indicato per compiere la pia pratica dell’Ora Santa, davanti all’altare della reposizione, unendosi alla preghiera e all’agonia del nostro Salvatore nell’Orto degli Ulivi e alla sua perenne immolazione nel sacramento dell’Eucaristia.

CELEBRAZIONE DELL’ORA SANTA

PREGHIERA INTRODUTTIVA

L’Ora Santa si può fare comunitariamente oppure da soli. Se la celebrazione è comunitaria, si può cominciare con un canto adatto. Poi colui che presiede dice:

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo, perché con la tua croce hai redento mondo. Preghiamo – Signore Gesù, nostro Salvatore e Maestro, noi ti adoriamo con viva fede presente nel Sacramento dell’Eucaristia.

Veniamo a te, in questa notte santa, per rispondere all’invito che facesti agli apostoli, di vegliare e pregare almeno un’ora con te.

Infondi in noi, o Signore, un grande odio al peccato, che fu la causa delle tue angosce mortali. Donaci un grande amore verso di te che, avendoci amato per primo con un amore senza limiti, hai preso sopra di te i nostri peccati allo scopo di

dare piena soddisfazione al Padre, e riconciliarci con Lui mediante la tua umana passione.

E tu, Madre addolorata, per l’angoscia che tormentava la tua anima durante l’agonia del Figlio tuo nell’Orto degli Ulivi, ottienici la grazia di pregare e di soffrire con te e con il Figlio tuo, per ottenere il frutto copioso e consolante della sua passione. Amen.

Oppure: Salvatore misericordioso, questa notte santa ci ricorda il tuo testamento di amore e l’angosciosa agonia della tua anima, triste fino alla morte. Noi vogliamo, spiritualmente accompagnarti nell’Orto degli Ulivi, accogliendo il tuo ripetuto invito di vegliare e di pregare almeno un’ora con te.

Sappiamo che sulle tue spalle gravano anche i nostri peccati e che nel calice amaro c’erano anche le nostre colpe e le nostre infedeltà.

Ti offriamo perciò quest’ora di adorazione come un atto doveroso di riparazione e di amore. Purifica, o Gesù, la nostra anima, liberaci dalla mortificante tiepidezza e aiutaci a non cadere nella tentazione.

Nei momenti bui della tribolazione e dello scoraggiamento, fa’ che imitiamo te che, nella

prolungata preghiera, hai trovato la forza di aderire pienamente alla volontà del Padre e di affrontare con coraggio la tua passione.

O Gesù agonizzante, ti ringraziamo e ti amiamo. Fa’ che viviamo e moriamo per te.

LETTURA BIBLICA

Quella del Getsemani è l’ora della prova suprema per il «Figlio dell’uomo». Egli è oppresso nel più profondo del suo essere umano da un’angoscia mortale. Di fronte alla morte sente tristezza, paura, avversione.

Sulla sua anima grava un peso immane, il peso di tutto il peccato del mondo. Egli sa che deve portarlo da solo, sa di essere la vittima designata dal Padre. Tuttavia, in quel momento, per la prima e l’unica volta nella sua vita, egli sente il bisogno del conforto degli uomini, e ritorna più volte presso i discepoli prediletti, nella speranza che essi gli dimostrino comprensione e preghino almeno con lui.

Ma i discepoli dormono. Non comprendono la sua sofferenza, sono completamente ignari del suo dramma interiore e perciò incapaci di confortarlo.

Solo rivolgendosi al Padre con un’ardente e prolungata preghiera, Gesù trova la forza di superare vittoriosamente la prova più difficile della sua vita, abbandonandosi docilmente e sottomettendo umilmente a lui la sua volontà umana.

Dal Vangelo secondo Matteo (22,36-46)

N.B. Il racconto di Matteo viene qui completato con quello di Marco, di Luca e di Giovanni.

Dopo queste parole (cioè dopo la preghiera sacerdotale) Gesù uscì con i suoi discepoli dal cenacolo e andò oltre il torrente Cedron, dove c’era un podere, chiamato Getsemani, e ivi entrò con i suoi discepoli.

Gesù disse loro: «Sedetevi qui, mentre io vado più avanti, a pregare».

Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a provare tristezza, paura ed angoscia. Disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me».

Poi si allontanò da loro di alcuni passi, si prostrò con la faccia per terra e si mise a pregare. Diceva: «Padre mio, se è possibile, allontana da me questo calice di dolore! Però non si faccia come voglio io, ma come vuoi tu».

Poi tornò indietro, verso i discepoli e li trovò addormentati. Allora disse a Pietro: «Così, non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me? Vegliate e pregate per resistere nel momento della prova; perché la volontà è pronta, ma la carne è debole».

E di nuovo si allontanò da loro e continuò a pregare dicendo: «Padre mio, se proprio devo bere questo calice di dolore, sia fatta la tua volontà».

Allora gli apparve un angelo del cielo, per confortarlo, e in quel momento di grande angoscia pregava più intensamente. Il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra.

Poi tornò di nuovo dai suoi discepoli e li trovò ancora addormentati; infatti i loro occhi erano appesantiti dal sonno. E, lasciatili, per la terza volta si allontanò e andò a pregare, ripetendo le stesse parole.

Infine tornò verso i discepoli e disse: «Dormite ormai e riposate. Ecco, è giunta l’ora nella quale il Figlio dell’uomo sarà consegnato in mano ai peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce sta arrivando».

Mentre Gesù parlava ancora, arrivò Giuda, uno dei dodici discepoli, accompagnato da molti uomini armati di spade e bastoni. Erano stati mandati dai capi dei sacerdoti e dalle autorità.

Il traditore s’era messo d’accordo con loro dicendo: «Quello che bacerò, è lui. Prendetelo». Giuda si avvicinò dunque a Gesù e gli disse: «Salve, Maestro!». E lo baciò.

Gesù gli disse: «Giuda, con un bacio tu tradisci il Figlio dell’uomo?».

Allora si fecero avanti quelli che erano venuti insieme con Giuda, misero le mani su Gesù e lo arrestarono.

MEDITAZIONE: L’AGONIA DI CRISTO

(G. Lorenzetti: Il mistero del Getsemani, ed. Massimo, Milano 1962, brani scelti dalle pagg. 95-138)

1. GESU’ SI PROSTRO’ CON LA FACCIA PER TERRA

Cominciò a provare tristezza, paura ed angoscia… Anche se sapeva da sempre il suo destino, Gesù sente, ora come non mai, tutto l’umano orrore del sangue, lo spavento di una fine atroce e ignominiosa, il vero raccapriccio dell’uomo che si sente braccato e afferrato dalla morte.

Questa paura investe anche il corpo, agghiaccia il sangue, sbianca la carne, scuote in un tremito violento tutte le membra. Di conseguenza, la ripugnanza, il disgusto, la nausea: Triste è l’anima mia, proprio triste da morire.

E’ l’anima soprattutto che soffre in Gesù, e nessun’altra anima soffrirà come la sua, perché nessuno avrà la sua intelligenza, il suo amore, la sua sensibilità. E’ una tristezza interiore infinitamente più trafiggente ed esasperante di tutti i tormenti fisici…

Umilmente, senza infingimenti, Gesù confessa ai discepoli, anche se non riusciranno a comprenderlo, il suo interno tormento e invoca da loro almeno una lontana volontà di comprensione: Rimanete un poco qui e vegliate con me.

Poi si allontana anche dai suoi più intimi: deve essere solo con la sua «ora» e con la sua anima in pena.

I suoi lo vedono procedere per una quarantina di passi. Ondeggia come colpito da uno strano malore, con le ginocchia vacillanti, con le mani protese in avanti in cerca di un sostegno.

D’un tratto non lo vedono più. E’ caduto. E’ caduto sulla faccia e contro la terra.

Né piogge né venti né passi di uomini potranno mai cancellare da questa terra l’impronta di questo corpo schiantato. E’ caduto, come se il peso di mille mondi, agganciato alla sua anima„ l’avesse tirato giù dal di dentro. E si è sprofondato nella terra, fino a farsi terra e polvere della terra.

Così, affondato nella terra, in questa sua crisi immane e inconcepibile, il Cristo risucchia nella sua amara esperienza tutte le crisi fisiche e spirituali degli uomini.

Egli vive dentro di sé tutte le paure, tutte le nausee, tutte le tristezze dei morti e dei nascituri, dei perfetti e dei mostri, dei santi e dei dannati.

Nessuna nostra crisi può essere estranea alla crisi del Getsemani; anzi ogni nostra crisi di ieri, di oggi e di domani, non è che un ricordo o una eco di quella.

E’ proprio nel Getsemani il Cristo, il Dio fatto nostro fratello, risucchia e rivive in sé, trasfigurandola, tutta la nostra tristezza.

E allora, per la incommensurata tristezza che uccide il mondo, il Getsemani, con il Cristo agonizzante, è ancora l’unico luogo capace di vita.

Dopo una pausa di preghiera silenziosa, si può eseguire un canto oppure si dica il seguente salmo responsoriale:

Salmo responsoriale (dai salmi 17 e 26)

Mi assediavano onde di morte, torrenti impetuosi mi investivano;

mi circondavano i lacci degli inferi, mi stringevano agguati mortali. Ascolta, Signore, la mia voce implorante.

Nella mia angoscia ho invocato il Signore e al mio Dio ho gridato aiuto.

Ascolta, Signore, la mia voce implorante; abbi pietà di me ed esaudiscimi! Ascolta, Signore, la mia voce implorante.

Non nascondere il tuo volto, non rigettare con ira il tuo servo. Tu sei il mio aiuto, non lasciarmi, non abbandonarmi, o Dio della mia salvezza. Ascolta, Signore, la mia voce implorante.

2. IL CALICE DEL DOLORE

Padre mio, se è possibile, allontana da me questo calice di dolore.

Più che un’invocazione, la preghiera di Cristo è un “grido” fatto di amore e di fede per il Padre «che può salvare dalla morte» (Ebr. 5,7): un grido che viene dai tessuti di un giovane corpo che non vuol morire, da una sensibilissima anima che sente ripugnanza della sofferenza e del disonore.

Ma che cosa ci sarà mai in questo calice che suscita tanta ripugnanza perfino al Figlio dell’Uomo che si è dimostrato sempre così sicuro e coraggioso?

E come mai, proprio chi diceva: «Il mio cibo è fare la volontà del Padre» (Lc 22,24), ora si ritrae da questo calice con la violenza di tutto l’essere atterrito?…

Nel calice c’è la passione imminente. La passione esterna, feroce e inumana: il bacio di Giuda, la cattura e le catene, la condanna ingiusta, le staffilate, gli sputi, le spine, i chiodi nelle carni tra i nervi e le ossa, la sete, 1’asfissìa, il disprezzo, il disonore, la morte.

Tutto egli vede nel calice con implacabile chiarezza. E nessuna illusione, nessuna speranza sono ormai possibili.

Nel calice c’è poi la passione morale, infinitamente più dolorosa e mortificante di quella fisica. Nessuno, meglio del Cristo, comprende tutta l’incommensurabile malvagità del delitto che stanno macchinando gli uomini.

Questi uomini, che il Cristo ha tanto amato, uccideranno l’unico innocente, si macchieranno del sangue del Figlio di Dio.

Nel calice c’è perciò il peccato, tutta la sua nauseante e rivoltante melma del male.

Il Cristo deve espiare, sentendolo in sé, tutto il peccato dell’umanità, dal peccato di Adamo al peccato dell’ultimo uomo.

«Colui che non conosceva il peccato, scrive san Paolo, Dio lo trattò da peccato in nostro favore» (2 Cor. 5, 21).

Lui, l’Unigenito del Padre, l’unico puro, immacolato, si sente sempre più materiato di peccato, e perciò respinto dal Padre, che pure infinitamente ama.

E’ un’esperienza che trapassa tutte le categorie della nostra psìcolgìa e tutte le parole del nostro vocabolario…

E’ vero, la maledizione era per gli altri, ma lui si è sostituito agli altri, è diventato il peccato di tutti gli altri. Isaia aveva previsto chiaramente questa paradossale sostituzione: «Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità» (Is. 53, 5). Nel calice ci sono ancora le miserie, i dolori, le sofferenze dell’umanità.

Ancora Isaia dice: «Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori» (Is. 53, 4).

Gesù non può dimenticare che, facendosi uomo, si è affratellato con tutti gli uomini, anche con i cenciosi che gli sputeranno in faccia.

Tutti gli uomini formano con lui un solo corpo, tutti, quelli già morti e quelli ancora da nascere. E il Cristo sente il male di ogni uomo, più di come una mamma sente la malattia del figlio. Sente che per sempre sarà crocifisso, fino a che ci sarà un uomo a penare sulla terra.

Questo è il calice che il Cristo deve bere, esaurire fino all’ultima stilla.

Ma davanti a questa impossibile mistura, tutta la sua umana sensibilità si atterrisce e con il grido della preghiera si avventa tra le braccia del Padre a volere la salvezza:

«Padre, se davvero sei il Padre mio, se davvero a te tutto è possibile, allontana da me questo calice… ».

Dopo una pausa di preghiera silenziosa, si può eseguire un canto, oppure si dice il seguente salmo responsoriale:

Salmo responsoriale (Isaia 53, 4. 8. 10)

Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Per la tua passione, o Signore, donaci la salvezza.

Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada;

il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. Per la tua passione, o Signore, donaci la salvezza.

Al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in espiazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Per la tua passione, o Signore, donaci la salvezza.

3. «VEGLIATE E PREGATE…»

Il grido di Cristo si è spento nel cielo impassibile ed immenso. Il Padre sembra assente con le sorgenti sigillate della sua dolcezza.

Gesù si sente veramente solo. Solo con la sua crisi e il suo atroce dolore.

Ma non ci sono gli uomini, i suoi amici?

Se è necessario bere questo calice colmo di amarezza, non ci sarà almeno un amico che sorregga la sua mano?

Così il Cristo sente ora il bisogno di loro, dei suoi apostoli, del loro respiro, dei loro occhi, delle loro parole.

Li ha lasciati qui accanto, a un tiro di sasso, devono essere in veglia e forse anche in pena.

Il pensiero così di poter appoggiare per un poco il peso della sua ora senza pace su cuori fedeli, lo aiuta a sollevarsi…

Dio, in questa notte, ho bisogno degli uomini. Il Figlio di Dio ha bisogno di gettare le braccia al collo dei figli degli uomini per abbandonare il capo stanco, prima della morte, sul palpito di un cuore vivo.

Gesù si alza e muove i suoi passi verso i discepoli, «ma li trova addormentati».

Eccoli, i tre fedelissimi, stesi per terra, avvolti nei loro mantelli, immersi nel sonno.

Forse dapprincipio avevano tentato di vegliare, secondo l’esortazione del Maestro, ma poi erano stati vinti dalla stanchezza. Ed erano anche angosciati senza rendersene ragione: la tristezza di Gesù, per una misteriosa osmosi, era passata in loro. «Erano assonnati per tristezza», dice l’evangelista Luca.

Gesù li guarda…

Quale amara esperienza dell’amicizia umana! Tra tutti i discepoli, uno solo è sveglio, il traditore che, al di là del Cedron, sta mettendo in opera il suo tradimento.

Loro, invece, gli amici, gli unici, dormono… E con loro dormono tutti coloro che Cristo ha chiamato, tutti coloro per i quali Cristo deve morire.

Per una sola volta aveva pregato gli uomini e gli uomini non l’hanno esaudito.

Neppure per un frammento di ora, gli uomini hanno saputo rinunziare al loro placido torpore. Il Cristo è solo, davanti a quei tre assonnati. Solo a soffrire, e solo a conoscere tutta la sua pena.

L’amarezza per questa delusione dell’amicizia è così amara che il cuore ne trabocca.

Gesù non può resistere, li sveglia, li chiama:

«Come, dormite? non siete stati capaci di vegliare neppure un’ora con me? Anche tu, Simone, dormi? Tu che poco fa volevi andare in carcere e alla morte per me?… So che la volontà è pronta, ma la carne è debole. Tuttavia sforzatevi, vegliate e pregate per poter resistere nel momento della prova».

Sgomenti e mortificati, gli apostoli, con gli occhi sbarrati, lo guardano. Aveva in volto un pallore di morte?

Risposero? Formularono qualche timida scusa?

L’evangelista Marco dice che «avevano gli occhi aggravati e non sapevano che cosa rispondergli».

Ma chi mai potrà rispondere, tra tutti gli effimeri dormienti, quando chiama l’Eterno che non può dormire?

Chi mai potrà dire che cos’è questa sonnolenza che affoga gli occhi degli uomini mentre Dio agonizza?

Chi può dire questa sordità della carne quando Dio chiama con tutta la sua preghiera, la sua tristezza, la sua agonia, il suo sangue?

Tutto è mistero.

E, ombra più cupa del mistero, è l’incomprensibile sonno degli uomini nella notte degli ulivi!

Dopo una pausa di preghiera silenziosa, si può eseguire un canto, oppure si dice il seguente salmo responsoriale:

Salmo responsoriale (dal salmo 68)

Per te io sopporto l’insulto e la vergogna mi copre la faccia; sono un estraneo per i miei fratelli, un forestiero per i figli di mia madre. Nella tua fedeltà, soccorrimi, Signore.

L’insulto ha spezzato il mio cuore e vengo meno. Ho atteso compassione, ma invano,

consolatori, ma non ne ho trovati. Nella tua fedeltà, soccorrimi, Signore.

Ma io innalzo a te la mia preghiera, o Dio; per la grandezza della tua bontà, rispondimi, volgiti a me nella tua grande tenerezza. Nella tua fedeltà, soccorrimi, Signore.

4. «SI FACCIA QUELLO CHE VUOI TU, O PADRE»

Dopo aver esortato i discepoli alla preghiera, Gesù si allontana di nuovo per riprendere il suo colloquio con il Padre. E ancora supplica: «Padre mio, se è possibile…»

Ma nell’eternità c’è stato un decreto: il Figlio di Dio sarebbe andato a morire per i figli degli uomini.

Era stato un decreto di amore, e niente è così immutabile in Dio come l’amore, poiché l’amore è la sua vita, è la sua essenza.

E la volontà divina del Cristo aveva aderito a quel decreto. Costi quel che costi, il Figlio avrebbe portato a termine la meravigliosa avventura di ricondurre a casa i fratelli.

E anche la volontà umana del Cristo, fin dal primo respiro di vita nel seno di sua madre, è restata sempre ancorata a quel decreto. Era il suo nutrimento, la fiamma che alimentava la sua opera di amore.

Volersi salvare da quest’ora, rifiutarsi di bere il calice amaro, sarebbe come rinnegare tutta una vita.

Nell’attimo di sospeso silenzio, il Cristo vede tutto questo. Egli comprende perché il Padre non risponde, perché non ascolta il grido della natura umana esasperata dal terrore.

E sente inoltre che il Padre lo ama proprio perché lui, il Figlio, accetta quest’ora e il calice amaro di quest’ora.

Questo sente adesso il Cristo. E allora la sua volontà, luminosa di una nuova luce, si impone fortemente alla natura atterrita: Non si faccia quello che voglio io, ma quello che vuoi tu.

Non la volontà della carne, ma la volontà dell’amore. Non la volontà dell’uomo, ma la volontà del Padre.

L’adesione del Cristo è piena, totale, senza riserve.

Ma tutto il suo essere, preso e spremuto da una infinita tensione, sussulta nello spasimo del combattimento (= agonia), della lotta, dello sforzo.

E’ un dramma sconfinato, che nessun poeta potrà mai tradurre in parole, nessun psicologo scandagliare fino in fondo.

Il suo corpo è battuto a terra dalla volontà trionfatrice. E la lotta, anche contro terra, continua serrata fino all’ultimo sforzo, fino al sangue. Il suo sudore diventò come gocce di sangue che scendevano a terra.

E continua a pregare, lungamente e appassionatamente: Padre, non la mia, ma la tua volontà sia fatta.

E con questa preghiera ripetuta più e più volte, Gesù vince la sua drammatica agonia. Ristabilisce l’armonia della volontà umana con la volontà divina.

Fin dal primo presentimento della lotta vicina, Gesù aveva inteso la necessità di venire a pregare, qui, sotto gli ulivi.

La preghiera perciò non è un’inane vociferazione, non è una fuga dal dolore e dalla prova, ma è un «serbatoio di forza», è l’arma insostituibile per l’agonia dello spirito.

Con la prolungata preghiera, il Cristo ha forgiato potentemente la nostra umanità sullo stampo della volontà del Padre, attuando la fusione dell’umano con il divino.

Per questo la preghiera ripetuta amorosamente sotto gli ulivi diventerà la preghiera delle preghiere, la preghiera vittoriosa dei cuori sanguinanti, la pregiera della santità amante, della consacrazione adorante.

Dopo una paura di preghiera silenziosa, si può eseguire un canto, oppure si dice il seguente salmo responsoriale.

Salmo responsoriale (dal Salmo 17)

Ti amo, Signore, mia forza, Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore. Nell’angoscia t’invoco: salvami, Signore.

Mio Dio, mia rupe, in cui trovo riparo; mio scudo e baluardo, mia potente salvezza. Invoco il Signore, degno di lode, e sarò salvato dai miei nemici. Nell’angoscia t’invoco: salvami, Signore.

Nel mio affanno invocai il Signore, nell’angoscia gridai al mio Dio: dal suo tempio ascoltò la mia voce, al suo orecchio pervenne il mio grido. Nell’angoscia t’invoco: salvami, Signore.

PREGHIERA COMUNE

Il Figlio di Dio, divenuto nostro fratello, nella notte della passione ha sofferto la dolorosa agonia ed ha accettato di andare incontro alla morte per la nostra salvezza, rivolga a noi il suo sguardo di misericordia e ci conceda di corrispondere al suo amore e alla sua grazia. A lui, con profonda riconoscenza, rivolgiamo la nostra preghiera:

1. Signore Gesù, che nell’Orto degli Ulivi ti sei prostrato con la faccia per terra in adorazione al Padre, noi ti preghiamo: Fa’ che ti amiamo come tu ci hai amato.

2. O nostro Salvatore, che hai provato la paura e l’angoscia, ma non hai rifiutato il calice amaro della passione, noi ti preghiamo: Fa’ che ti amiamo come tu ci hai amato.

3. O Agnello innocente, che ti sei lasciato condurre alla morte e, maltrattato, non hai aperto bocca, noi ti preghiamo: Fa’ che ti amiamo come tu ci hai amato.

4. O divino Maestro, che ti sei fatto per noi obbediente fino alla morte di croce, noi ti preghiamo: Fa’ che ti amiamo come tu ci hai amato.

5. O Re glorioso, che per noi sei stato inchiodato su un patibolo infame tra due malfattori, noi ti preghiamo: Fa’ che ti amiamo come tu ci hai amato.

6. O Vittima santa, che morendo hai vinto la morte e ci hai donato la salvezza e la vita, noi ti preghiamo: Fa’ che ti amiamo come tu ci hai amato.

7. O Redentore nostro, che hai steso le braccia sulla croce per stringere a te tutto il genere umano in un vincolo indistruttibile di amore, noi ti preghiamo: Fa’ che ti amiamo come tu ci hai amato.

Guarda con amore, o Padre, questa tua famiglia, per la quale il Signore nostro Gesù Cristo non esitò a consegnarsi nelle mani dei nemici e a subire il supplizio della Croce. Per Cristo nostro Signore. Amen.

LITANIE DELLA PASSIONE DI GESU’

O Gesù, Figlio del Dio vivente, abbi pietà di noi

O Gesù, Sacerdote e Redentore, abbi pietà di noi

O Gesù, Uomo dei dolori, abbi pietà di noi

O Gesù, misconosciuto dal tuo popolo, abbi pietà di noi

O Gesù, venduto per trenta denari, abbi pietà di noi

O Gesù, triste fino alla morte, abbi pietà di noi

O Gesù, coperto del sudore di sangue, abbi pietà di noi

O Gesù, tradito da Giuda con un bacio, abbi pietà di noi

O Gesù, preso e legato come un malfattore, abbi pietà di noi

O Gesù, abbandonato dai tuoi discepoli, abbi pietà di noi

O Gesù, accusato da falsi testimoni, abbi pietà di noi

O Gesù, rinnegato per tre volte da Pietro, abbi pietà di noi

O Gesù, proclamato reo di morte, abbi pietà di noi

O Gesù, oltraggiato e coperto di sputi, abbi pietà di noi

O Gesù, colpito con i pugni, abbi pietà di noi

O Gesù, condotto in catene da Pilato, abbi pietà di noi

O Gesù, schernito da Erode, abbi pietà di noi

O Gesù, proposto all’assassino Barabba, abbi pietà di noi

O Gesù, coperto di piaghe nella flagellazione, abbi pietà di noi

O Gesù, coronato di spine, abbi pietà di noi

O Gesù, presentato al popolo come re di burla, abbi pietà di noi

O Gesù, condannato alla morte, abbi pietà di noi

O Gesù, caricato del peso della croce, abbi pietà di noi”

O Gesù, condotto al supplizio come un agnello, abbi pietà di noi

O Gesù, spogliato delle vesti, abbi pietà di noi

O Gesù, inchiodato sulla croce, abbi pietà di noi

O Gesù, abbeverato di fiele e di aceto, abbi pietà di noi

O Gesù, obbediente fino alla morte di croce, abbi pietà di noi

O Gesù, morto di amore per noi, abbi pietà di noi

O Gesù, trafitto da una lancia, abbi pietà di noi

O Gesù, deposto dalla croce, abbi pietà di noi

O Gesù, dato in grembo alla madre, abbi pietà di noi

O Gesù, portato al sepolcro, abbi pietà di noi

O Gesù, ostia di riconciliazione per i nostri peccati, abbi pietà di noi”

O Gesù, olocausto dell’amore divino, abbi pietà di noi

O Gesù, ostia di pace per il mondo intero, abbi pietà di noi

Da ogni male, liberaci, o Signore

Dall’ira, dall’odio e da ogni cattiva volontà, liberaci, o Signore

Dalla superbia della vita, liberaci, o Signore

Dalla concupiscenza degli occhi e della carne, liberaci, o Signore

Dalla durezza di cuore, liberaci, o Signore

Dalla morte improvvisa, liberaci, o Signore

Dalla dannazione eterna, liberaci, o Signore

Per il tuo sudore di sangue, liberaci, o Signore

Per la tua dolorosa flagellazione, liberaci, o Signore

Per la tua incoronazione di spine, liberaci, o Signore

Per il tuo faticoso cammino col peso della croce, liberaci, o Signore

Per la tua crudele crocifissione, liberaci, o Signore

Per le tue sacre piaghe, liberaci, o Signore

Per la tua morte, liberaci, o Signore

Nell’ora della nostra morte, liberaci, o Signore

Nel giorno del giudizio, liberaci, o Signore

Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo, perché con la tua croce hai redento il mondo.

Preghiamo

O Dio, nostro Padre, che ci hai amati per primo e ci hai donato il tuo Figlio diletto per la nostra salvezza, fa’ che ricambiamo il tuo amore e viviamo da tuoi veri figli.

Tu che nella carne immacolata di Cristo hai condannato il peccato, aiutaci a conservarci al tuo cospetto puri e irreprensibili.

Tu che preferisci essere misericordioso piuttosto che adirato, concedici di piangere, come si deve, i peccati commessi, per ottenere il tuo perdono.

Tu che ci hai riconciliati con Te, per mezzo del sangue del tuo Figlio, agnello innocente, fa’ che nulla ci strappi mai dalla tua amicizia e dal tuo amore.

Tu che sei stato glorificato dal tuo Figlio, obbediente fino alla morte di croce, fa’ che siamo trasformati a sua immagine per essere partecipi della sua gloria.

Tu che hai associato la Vergine Maria alla passione del tuo Figlio, concedici, per sua intercessione, il frutto di ogni bene per la salvezza.

Tu che hai risuscitato Gesù Cristo da morte per mezzo del tuo Spirito, dà la vita anche ai nostri corpi mortali nel tuo Spirito che abita in noi.

Per Cristo nostro Signore. Amen.