Testimoni di Geova e Trasfusioni di Sangue

NO TRASFUSIONE sangue

NO TRASFUSIONE sangue

La più criticata e controversa credenza dei Testimoni di Geova è certamente la proibizione delle trasfusioni di sangue, anche quando queste fossero assolutamente essenziali per la sopravvivenza. Per i Testimoni, accettare il sangue per salvare la vita equivale a rinnegare la fede, incorrere nella disapprovazione divina e disprezzare il provvedimento per la salvezza eterna che Dio ha disposto, cioè il prezioso sangue di Cristo. Questo è quanto si insegna ed è continuamente ripetuto nelle loro pubblicazioni, adunanze ed assemblee. È impensabile esprimere dubbi od incertezze sull’assoluta correttezza di questa posizione. Se qualcuno osasse farlo verrebbe ripreso, “disciplinato” e – se persiste nelle sue posizioni – espulso come apostata dalla Congregazione.

Questa norma è in vigore dal 1961. In quell’anno, infatti, La Torre di Guardia del 15 luglio, alle pp. 446-448, rispondendo alla domanda se accettare una trasfusione comportasse la disassociazione, affermò: «Le ispirate Sacre Scritture rispondono di sì… Questa è una violazione dei comandi di Dio, la cui serietà non dovrebbe essere sminuita da nessun atto di leggerezza, pensando che sia una questione facoltativa su cui l’individuo possa prendere la decisione secondo coscienza. Secondo la legge di Mosè, …chi riceve la trasfusione del sangue dev’essere stroncato dal popolo di Dio mediante la scomunica o disassociazione… In ogni modo, se egli rifiuta… di osservare la necessaria norma cristiana… mostra… di opporsi deliberatamente alle esigenze di Dio. Quale ribelle oppositore ed infedele esempio per i conservi della congregazione cristiana, egli dev’essere stroncato da essa mediante la disassociazione» (Il corsivo è mio).

L’intransigente sicurezza manifestata dai TdG su questo tema fa sorgere alcuni basilari interrogativi:

Perché la Bibbia vieta l’uso del sangue?

Siamo certi che i divieti relativi al mangiare il sangue, contenuti nella Bibbia, siano da ritenersi vincolanti anche se si è in pericolo di vita? Dio richiede proprio questo?

È possibile dimostrare, con certezza, che i passi biblici che vietano l’uso alimentare del sangue, si applichino anche al suo impiego terapeutico?

Potrebbe essere consentito scegliere, in armonia con la propria coscienza, la condotta che si ritiene più opportuna, in base alle circostanze?

Quest’ultima domanda è particolarmente significativa. Se, infatti, esistessero motivi validi per rimettere la decisione alla coscienza personale, si potrebbe concludere che la Società Torre di Guardia, con le sue direttive, sta imponendo delle norme umane, limitando così indebitamente la libertà degli individui.

Consideriamo quindi perché la Bibbia vieta l’uso del sangue. La prima proibizione in tal senso si trova in Genesi 9:3-6, ove si legge:

«Ogni animale che si muove ed è in vita vi serva di cibo. Come nel caso della verde vegetazione vi do in effetti tutto questo. Solo non dovete mangiare la carne con la sua anima, il suo sangue. E, oltre a ciò, richiederò il sangue delle vostre anime. Lo richiederò dalla mano di ogni creatura vivente; e dalla mano dell’uomo, dalla mano di ciascuno che gli è fratello, richiederò l’anima dell’uomo. Chiunque sparge il sangue dell’uomo, il suo proprio sangue sarà sparso dall’uomo, poiché a immagine di Dio egli ha fatto l’uomo».

È evidente in queste parole che il sangue, umano ed animale, è menzionato in relazione all’uccisione, alla soppressione di una vita. Poiché la vita è sacra e gli appartiene, Dio vieta all’uomo di cibarsi del sangue – che in questo ed in altri passi, viene definito anima, cioè vita – reclamando così ogni diritto e autorità sulla vita da esso simboleggiata, essendone il Creatore. In ogni caso in cui nella Bibbia il sangue è proibito come cibo, ci si riferisce ad animali che vengono uccisi, la cui vita è stata soppressa. Fondamentalmente quindi Dio proibì il sangue come alimento per incutere, visibilmente, tramite un simbolo concreto, il rispetto per la sacralità della vita: uccidere gli animali era una concessione, non un diritto. Ovviamente se la vita animale era preziosa, tanto più lo era quella umana.

Venendo ora alla seconda domanda, siamo autorizzati dalla Bibbia a ritenere vincolanti questi divieti alimentari anche quando è in pericolo la sopravvivenza? Le Scritture non parlano di una simile eventualità. Non c’è nessun passo biblico in cui si affermi che si debba morire di fame piuttosto che mangiare il sangue; e, in effetti, un simile comportamento sarebbe incoerente: significherebbe, infatti, mostrare maggiore rispetto per un simbolo (il sangue) che per la realtà da esso simboleggiata (la vita). Per illustrare il punto, sarebbe come avere per l’anello nuziale, simbolo del matrimonio, un rispetto tale da preferirlo al matrimonio stesso, e quindi, messi di fronte all’alternativa tra il sacrificare la propria moglie o la vera nuziale, si scegliesse a favore di quest’ultima.

La Scrittura, inoltre, fa una distinzione tra la trasgressione deliberata e il comportamento motivato da circostanze gravi o particolari. La Legge mosaica prevedeva la morte per chi mangiava il sangue; un episodio biblico mostra tuttavia che tale pena non era applicata in maniera assoluta e indiscriminata. Nel primo libro di Samuele si legge che ‘il popolo peccava contro Geova mangiando insieme al sangue’ (1Sam.14:33,34). Furono tali ‘violatori della Legge’ lapidati, come era prescritto? No, nessuno venne punito, pur essendo la loro condotta definita “sleale”. Evidentemente si tenne conto delle circostanze: il popolo era “molto stanco” ed affamato. La pena capitale era, a quanto pare, applicata solo quando qualcuno, pur avendo di che nutrirsi, deliberatamente mangiava il sangue.

Che dire allora se qualcuno stesse morendo di fame e fosse costretto a mangiare carne non dissanguata per sopravvivere? Le circostanze dell’episodio citato sopra non erano così gravi e tuttavia si mostrò indulgenza. Dalle scritture di Luca 14:5 e Matteo 12:11,12 si comprende che non esisteva l’obbligo di osservare nemmeno le norme sul sabato, se ciò avesse messo in pericolo una vita, fosse anche quella di un animale. È logico concludere che lo stesso principio si applichi alle norme alimentari sul sangue. È ovvio quindi che, in casi così particolari, la decisione da prendere riguarda la coscienza individuale.

Quanto precede ci fa capire anche quanto sia discutibile applicare i divieti biblici sull’uso alimentare del sangue al suo impiego terapeutico. È chiaro che se una persona fosse gravemente malata, in pericolo di vita, e potesse sopravvivere solo con il sangue, la sua scelta avrebbe serie motivazioni; sarebbe quindi corretto considerare una sua eventuale accettazione del sangue, “un atto di leggerezza”, una mancanza di rispetto per la legge di Dio? Ricordiamo che lo scopo di questa legge era quello di inculcare il rispetto per la vita: come dicevo sopra quindi, è del tutto incoerente lasciarsi morire, perdere la vita, per rispettarne il simbolo!

Il sangue umano, nel suo impiego terapeutico, non richiede ovviamente l’uccisione di una persona. Questo è molto importante, perché la proibizione riguardava il cibarsi del sangue di creature che erano state uccise, la cui vita era stata tolta. Questo rammenta la questione dei trapianti, un tempo considerati cannibalismo dai Testimoni e quindi tassativamente proibiti; “si comprese” poi che «i trapianti d’organo sono diversi dal cannibalismo, dal momento che il “donatore” non viene ucciso per essere mangiato» (La Torre di Guardia del 1 settembre 1980, p.31). Non si potrebbe dire la stessa cosa delle trasfusioni di sangue? Mi chiedo perché, in questioni così serie, in cui è coinvolta la vita, non venga lasciato alcuno spazio alla coscienza del singolo; inoltre, incoerentemente, non sempre si manifestano lo stesso rigore e la stessa inflessibilità. Per esempio, la decisione di abortire, in certi casi, è per i TdG una questione di scelta: «Se al momento del parto si deve scegliere fra la vita della madre e quella del bambino, questa è una decisione che spetta agli interessati» (Ragioniamo facendo uso delle Scritture, p.26, § 4. Il corsivo è nel testo). In questa eventualità si avrebbe a che fare con una vita pienamente sviluppata – un bambino che sta per nascere – e la vita della madre. Applicando lo stesso criterio che si usa per il sangue, l’aborto non dovrebbe essere mai consentito, anche se ciò comportasse la morte della partoriente. La situazione è tuttavia ben più grave e drammatica: la scelta, infatti, è fra due esseri viventi. Così, mentre in relazione al sangue bisogna, secondo i TdG, rispettare – a tutti i costi – il simbolo, nel caso dell’aborto è consentito scegliere: perché questa differenza? –

Finora ho parlato genericamente di “uso terapeutico” del sangue. Naturalmente, con tale locuzione mi riferisco alle trasfusioni del sangue o dei suoi componenti. È vero che le trasfusioni di sangue possono essere pericolose, poiché espongono chi le riceve – nonostante i più scrupolosi controlli – al rischio di contrarre gravi malattie (lo stesso pericolo tuttavia esiste anche sottoponendosi ad interventi che la Società consente, come i trapianti; oppure accettando quelle “frazioni di sangue” che, con un intricato tecnicismo, sono considerate componenti “minori” del sangue e quindi permesse).

È anche certo però che, in alcuni casi, senza trasfusioni di sangue si muore, e che alcuni che potevano essere salvati soltanto con una trasfusione, sono morti per averla rifiutata, convinti che questa fosse la volontà di Dio.

Ci si potrebbe anche chiedere quale relazione vi sia tra la proibizione di mangiare il sangue e la pratica di trasfonderlo. La Società risponde: «In ospedale, quando un paziente non può essere alimentato per via orale, viene alimentato per via endovenosa. Ebbene, se uno che non ha mai preso sangue per via orale lo accettasse sotto forma di trasfusione, ubbidirebbe al comando di ‘astenersi dal sangue’? (Atti 15:29) Prendiamo il caso di una persona a cui il medico abbia detto di astenersi dall’alcool. Rispetterebbe il divieto se smettesse di bere alcool ma se lo facesse trasfondere direttamente nelle vene?» (Ragioniamo, p.337, § 2). In questi esempi, la cui logica sembra ovvia, si trascura un elemento fondamentale, vale a dire il motivo per il quale si compiono queste azioni. La trasfusione non viene effettuata per alimentare il paziente; la persona non riceve il sangue perché è denutrita o ha fame. Le motivazioni non sono di carattere alimentare – che potrebbero così interessare le proibizioni bibliche – ma mediche: non usare il sangue potrebbe significare perdere la vita, non semplicemente rimanere digiuni. Si può anche osservare che la trasfusione equivale al trapianto di un tessuto liquido (cfr. Svegliatevi!, 22 ottobre 1990, p. 9). Trapiantare un organo non equivale certo a mangiarlo. – Cfr. La Torre di Guardia del 1 settembre 1980, p.31.

Anche l’esempio dell’alcolizzato merita una considerazione: un alcolista deve ‘astenersi’ dall’alcool, non prendendolo né per via orale né trasfondendolo nelle vene, perché l’effetto prodotto e le motivazioni dell’azione sarebbero le stesse: l’ubriachezza. Nel caso della trasfusione di sangue, come abbiamo visto, sia le motivazioni sia i risultati sono diversi: non si tratta di mangiare il sangue – mostrando mancanza di rispetto per la vita da esso simboleggiata – ma di usarlo allo scopo di salvaguardare una vita in pericolo.

I Testimoni interpretano il passo di Atti 15:29, in cui si comanda di ‘astenersi dal sangue’, come abbiamo notato, nel senso più letterale ed esteso possibile: «’Astenersi dal sangue’ significa non immetterlo affatto nel proprio corpo», sempre ed in ogni circostanza. (Potete vivere per sempre, p.216, § 22). Si è certi che il termine “astenersi” (greco apékhomai) sia usato nelle Scritture proprio con questo significato? A me pare di no. Lo si comprende dal modo in cui venne affrontata la questione delle “cose sacrificate agli idoli” (menzionate insieme al sangue, negli Atti) dall’apostolo Paolo. Scrivendo la prima lettera ai Corinti, nel cap. 10, Paolo ribadì l’importanza di ‘fuggire l’idolatria’ evitando di onorare i demoni mangiando cibi offerti in loro onore. Queste parole sono in armonia con la prescrizione di ‘astenersi dalle cose sacrificate agli idoli’ di Atti 15:29. Se tale comando si doveva intendere in senso assoluto, come una proibizione valida sempre ed in ogni occasione, non si spiega come Paolo potesse parlare di cristiani la cui coscienza permetteva di mangiare “nel tempio di un idolo” (1 Cor. 8:10); oppure, come si legge nel capitolo 10 della stessa lettera, scrivere “continuate a mangiare ogni cosa che si vende al macello, senza informarvi a motivo della vostra coscienza” (v.25). Tali cristiani mangiavano cibi offerti agli idoli ma questo non li rendeva idolatri. Infatti, come spiega Paolo, è il significato che si attribuisce al gesto – o l’effetto che esso produce su altri – a renderlo lecito o meno (8:7,10, 13; 10:28). Quindi, l”astenersi dalle cose sacrificate agli idoli’ coinvolgeva la coscienza, il discernimento dei singoli; non era una legge da seguire alla lettera ed in ogni situazione. Lo stesso si può dire delle parole ‘astenetevi dal sangue’.

Lorenzi Achille – dal sito InfoTdGeova